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“Si può essere amici per sempre?”. Puglia Sanità incontra l’Associazione “Il sogno di Geppetto”

Quando ho salutato i ragazzi de “Il sogno di Geppetto” quasi mi dispiaceva andare via. Spesso si pensa al giornalista come un automa che non si lascia scalfire dalle storie che racconta. Il più delle volte è così, perché bisogna mantenere una certa “distanza” dai fatti con cui si entra in contatto. Ma questa volta, cari lettori, credetemi se vi dico che è stato difficile ascoltare e ancor di più mettere insieme ogni singolo pezzo di questa intervista. Il muro questa volta è crollato e, per la prima volta, mi sono sentita parte di un mondo che fino ad ora non avevo mai compreso veramente. Spero che questa storia possa entrare anche nel vostro cuore, così com’è entrata nel mio. Grazie a tutti i volontari per avermi accolta e per avermi resa parte, anche solo per un pomeriggio, della vostra splendida famiglia. A tutti i ragazzi per l’amore e la gioia che mi avete trasmesso. Sì, si può essere amici per sempre.

Noi di Puglia Sanità abbiamo incontrato l’Associazione “Il sogno di Geppetto” di Squinzano che dal 2009 si propone come centro di aggregazione per adulti e ragazzi con disabilità. Ed è proprio di questo tema, sotto tutte le sue sfaccettature, che ne abbiamo parlato, in una lunga e toccante intervista, con il Presidente dell’Associazione Lorenzo Bandello che ha fatto della sua vita una battaglia, per sua figlia Angela e per tutti i genitori che si scontrano ogni giorno con le difficoltà legate alla disabilità. Abbiamo poi raccolto la preziosa testimonianza di una delle volontarie, Patrizia Tario, che da dodici anni si prende cura dei ragazzi dell’Associazione e coordina i laboratori di arte e teatro.

 Come nasce questa associazione e perché proprio “Il sogno di Geppetto?

Questa associazione è nata nel 2002 come “Associazione di Genitori in difesa dei figli e situazioni di handicap”; nel 2009 si sono aggiunti i volontari e così a poco a poco è nato il “Sogno di Geppetto”. Così come Geppetto ha lottato per Pinocchio, ogni genitore lotta per i propri figli. L’Associazione nasce dalla mia esperienza di genitore. Mia figlia è affetta dalla rara Sindrome di Rett, conosciuta anche come Sindrome “delle bambine dagli occhi belli”. Angela è nata sana, a due anni ci siamo accorti che qualcosa non andava. All’Università di Bologna abbiamo trovato persone, prima che medici. Angela oggi ha 48 anni. Devo uscire di nascosto, mi sento quasi un “traditore” perché lei percepisce quando sto andando via. Oggi sono felice di dare l’opportunità a tanti ragazzi di uscire dalle mura di casa e conoscere il mondo.

In base alla sua esperienza, che cos’è “Il sogno di Geppetto” per questi ragazzi?

Io credo che loro percepiscano come vengono trattati: percepiscono l’amico e chi non è amico. Noto che loro non percepiscono questa Associazione come un obbligo, vengono con volontà e se qualche volta per qualche motivo non è possibile, loro ci rimangono male, perché qui trovano AMICI. Qui loro si sentono uguali a tutti gli altri. Quando gli operatori sono qua i ragazzi sono felicissimi, ci scherzano, parlano, discutono. Quando guardo i volontari penso che siano degli eroi, per tutto il tempo e l’amore che dedicano ai nostri figli. Se la società si aprisse al nostro mondo e comprendesse le nostre naturali esigenze, solo allora si potrà parlare di inclusione.

Signora Patrizia, lei invece come è venuta a conoscenza di questa piccola realtà?

Esattamente il 3 ottobre 2011. Avevo preso parte ad un progetto al quale mi aveva iscritto mia figlia, Progetto ALFA. Si componeva di una parte teorica e una di stage in associazioni che si occupavano di anziani, bambini e portatori di handicap. Io sono stata assegnata a “Il sogno di Geppetto”. Il 3 ottobre di dodici anni fa sono entrata per la prima volta in questa associazione, ho conosciuto il Presidente e tutti gli operatori. Da allora per me “Il sogno di Geppetto” è come una famiglia.  

L’esperienza da volontaria quanto “influenza” la sua vita di tutti i giorni?

Molto. Confesso che dopo due giorni volevo andare via… . Il primo impatto è stato forte: questi ragazzi ti danno subito tutto, ma io, non essendo a conoscenza di questa realtà, ed entrando in contatto con le loro situazioni ho percepito un forte dolore al cuore. Poi però sono stata catturata: “Patrizia come si fa questa cosa?” e poi se sbagliavano, “Scusa, ti voglio bene”. Ti catturano e non riesci più ad allontanarti. Da quel primo incontro, nella vita di tutti i giorni, se noto barriere architettoniche o l’assenza di rampe, mi arrabbio. Questa esperienza non resta confinata nelle due ore di laboratorio pomeridiane, ma irrompe nella mia quotidianità. Anche loro sono miei figli.

Che tipo di attività svolgono i ragazzi in questa associazione?

Prima della Pandemia da Covid-19, riuscivamo a realizzare degli spettacoli, avevamo il nostro banchetto in occasione del Mercatino di San Nicola con i lavoretti realizzati dai ragazzi e tutta una serie di attività qui in sede come la cura dell’orto, giochi e merende comuni. Per anni abbiamo accompagnato i ragazzi in piscina a spese nostre. Perché noi ci sovvenzioniamo esclusivamente attraverso il 5×1000. Affittavamo il pullman non solo per i ragazzi, ma anche per i genitori: lo scopo era anche quello di regalare un momento di relax alle mamme, mentre operatori e volontari curavano le attività. Ancora, li abbiamo portati a fare ippoterapia, al cinema, allo zoo di Fasano, alle fattorie didattiche… . Abbiamo cercato di far vedere cose che normalmente non potrebbero vedere. A volte gli impegni familiari sono troppi e questi ragazzi non hanno la possibilità di fare delle gite. Noi diamo loro anche questa opportunità.

Presidente, secondo lei come la società e le istituzioni affrontano il tema della disabilità?

Oggi, per fortuna, si parla di disabilità. Il grosso lavoro che noi abbiamo fatto, insieme a tantissime altre associazioni, ancora non è però stato capito del tutto. Anche se nella nostra piccola realtà di Squinzano, grazie ad una nostra battaglia, oggi possiamo vantare un Centro Diurno per ragazzi con disabilità. Certo, il modo della società di vedere la disabilità nel tempo è cambiato, ma ci sono piccole cose che devono essere corrette. Un esempio? Lasciare sempre libero il parcheggio per disabili. Chi non tocca con mano queste problematiche è sempre restio a comprendere anche le cose più elementari. Anche le Amministrazioni sono molto lontane da noi: sull’abbattimento delle barriere siamo ancora indietro: il nostro Comune ne è pieno e l’accesso alla spiaggia è spesso difficoltoso. Insomma, qualche passo si è fatto, ma c’è ancora tanto da fare. Lo scopo della nostra associazione è anche incoraggiare e sostenere le famiglie nella battaglia di vivibilità della vita per i propri figli: noi diventiamo più anziani ed incapaci e loro più grandi e più esigenti. Il pensiero più brutto è quello del “dopo di noi”. Lei non è madre, ma immagini di dover abbandonare il suo cane senza sapere che fine farà, dopo che lei lo ha amato, gli ha dato tutto, anche l’impossibile. Ho avuto modo di dibattere di questo con il Ministro Locatelli quando, qualche mese fa, ha fatto visita a Squinzano. A lei ho fatto presente proprio questo problema.

Secondo lei in che modo si può sensibilizzare la cittadinanza al tema della disabilità?

Lo dico sinceramente: l’italiano ha bisogno della “frusta”. Fino quando il vigile non interviene con una multa… . Io amo la mia terra, ma qui manca la visione. Per 40 anni mia figlia è stata oggetto di studio per una malattia rara e per questo motivo sono stato molto in Emilia-Romagna: lì ho trovato quello che qui non c’è: la mentalità e il rapporto umano tra medico e paziente. Bisogna saper parlare di disabilità. Anche i disabili sono esseri umani, hanno un’anima. Io vivo questa associazione per mia figlia. Amo mia figlia. Lei non si esprime, ma ha dei momenti di sofferenza che mi fa capire con gli occhi. E ci sto male anche io da genitore, perché mi sento impotente.

Che cosa vorrebbe dire a chi desidera avvicinarsi alla vostra associazione ma per qualche motivo non lo fa?

Io dico: fatelo. Perché i vostri figli ne hanno bisogno e noi facciamo tutto con il cuore. L’Associazione dà delle regole. Le spiego. Io mi sento in colpa se a mia figlia dico di fare una cosa perché vedo la sua reazione e mi dispiaccio. E in questo modo non do un contributo alla sua vita. Qui i ragazzi vengono supportati e educati, qui sono maturati e hanno socializzato. Più vengono allontanati più si inaspriscono. Date loro la possibilità di vivere meglio.

 

Foto e articolo di Giulia De Nigris

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