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“Focus Sanità”, Dott. Luisi: “Innovazione e lavoro di squadra contro il dolore articolare”

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Primo appuntamento della rubrica “Focus Sanità”. Putignano: Il Dott. Luisi spiega come medicina rigenerativa e neuromodulazione possano posticipare la protesi.

All’Ospedale “S. Maria degli Angeli” di Putignano, il Dott. Luisi e l’équipe della Dott.ssa Caterina Diele stanno rivoluzionando la cura del dolore articolare con un approccio multidisciplinare e mini-invasivo. Grazie alla combinazione di Neuromodulazione ad Alta Frequenza e Siero Autologo Ricco di Citochine (SARC), i pazienti con artrosi e patologie degenerative ottengono sollievo duraturo e recupero funzionale, spesso evitando interventi chirurgici. Un esempio concreto di come collaborazione e innovazione possano fare la differenza anche in un ospedale non specializzato.

Ne abbiamo parlato con il Dott. Luisi, che ci ha raccontato come è nata questa realtà, quali risultati ha già raggiunto e quali prospettive apre per la medicina rigenerativa del futuro.

Dott. Luisi, l’Ospedale S. Maria degli Angeli di Putignano non è un polo specializzato in terapia del dolore eppure qui lei e l’equipe della Dott.ssa Caterina Diele, primario del reparto di Anestesia e Rianimazione, riuscite ad affrontare patologie articolari degenerative e complesse con ap-procci all’avanguardia. Come si è creata questa realtà che combina efficacemente le vostre competenze con quelle degli altri specialisti?

Dott. Luisi: È un risultato naturale di un ambiente di lavoro aperto e dinamico. Sia io che la Dott.ssa Diele, come anestesisti-rianimatori, abbiamo una formazione che va oltre la gestione acuta del dolore: ci occupiamo di garantire benessere e sicurezza al paziente sotto diversi aspetti, anche quando si tratta di dolore cronico e patologie degenerative. Grazie al dialogo con ortopedici, fisiatri, radiologi e fisioterapisti, abbiamo potuto integrare metodiche rigenerative e mini-invasive, affinando tecniche che riducono il dolore, migliorano la funzione articolare e spesso ritardano l’esigenza di interventi chirurgici più invasivi. Non c’è stata una scelta strategica a tavolino, ma un’evoluzione guidata dalle esigenze dei pazienti e dalla disponibilità di tutti i professionisti a collaborare.

Quindi non è questione di avere un’etichetta di “centro specializzato”, ma piuttosto di come riuscite a mettere in sinergia le diverse competenze interne all’ospedale. In che modo questa cultura del confronto si traduce in un beneficio reale per il paziente?

Dott. Luisi: Il paziente avverte subito la differenza quando ogni specialista non lavora in isolamento, ma come parte di un team che dialoga costantemente. Ciò significa che, pur non essendo un polo dedicato esclusivamente alla terapia del dolore, l’ospedale offre comunque approcci completi e personalizzati. Possiamo proporre, ad esempio, infiltrazioni di sieri autologhi arricchiti di citochine combinate alla neuromodulazione ad alta frequenza: non sono “tecniche segrete”, ma protocolli raffi-nati grazie al confronto tra più discipline. Il risultato è che il paziente, spesso costretto a convivere a lungo con il dolore, trova qui soluzioni adatte alla propria condizione, beneficiando di un ambiente in cui ogni terapia è pensata, discussa e ottimizzata in squadra. Semplificando, non serve un’eti-chetta per offrire cure di alto livello: servono mentalità aperta, competenza e voglia di crescere insieme.

Avete a che fare con pazienti molto diversi: dallo sportivo che vuole tornare a correre, a chi desidera semplicemente camminare senza dolore. Come riuscite ad adattare le vostre terapie alle diverse esigenze?

Dott. Luisi: Ogni paziente rappresenta un caso a sé, con bisogni, obiettivi e stili di vita differenti. L’approccio multidisciplinare ci permette di valutare attentamente il quadro clinico e le aspettative della persona. Dallo sportivo amatoriale, che desidera riprendere il podismo, a chi conduce una vita più sedentaria ma soffre nello svolgere attività quotidiane, offriamo trattamenti su misura. Questi includono infiltrazioni mirate, terapia fisica e programmi riabilitativi personalizzati, così da ottimizzare i risultati e favorire un rapido ritorno alle normali attività, evitando il più possibile interventi chirurgici invasivi.

Passando a un esempio concreto, so che presso il vostro centro avete affrontato casi di degenerazione articolare complessi, come la coxartrosi. Come siete arrivati ad applicare i vostri metodi proprio a questa patologia?

Dott. Luisi: La coxartrosi è una forma di osteoartrosi dell’anca che impatta significativamente sulla vita del paziente. In genere, quando la degenerazione è avanzata, si considera l’intervento di protesizzazione. Tuttavia, questo può risultare una soluzione troppo aggressiva per molti pazienti, soprattutto per quelli giovani e con uno stile di vita attivo. Abbiamo quindi cercato un approccio alternativo che agisse in modo mini-invasivo, mirando a rallentare la progressione della malattia, ridurre il dolore e preservare la funzione articolare. Da qui l’utilizzo combinato di SARC e Neuromodulazione, una strategia che rappresenta un’opportunità concreta per ritardare l’intervento e salvaguardare lo stile di vita del paziente.

Ci può spiegare in cosa consiste questo metodo?

Dott. Luisi: Il protocollo adottato prevede l’applicazione di Neuromudolazione ad Alta Frequenza della durata di circa 10 minuti, cui fa seguito l’infiltrazione intra-articolare di SARC (Siero Autologo Ricco di Citochine). Il SARC è un derivato ematico autologo, privo di cellule e non sottoposto a manipolazioni con attivatori o anticoagulanti. Questo lo rende estremamente sicuro e ben tollerato, riducendo nettamente il rischio di reazioni avverse. La Neuromodulazione ad alta frequenza, invece, agisce come un “potenziatore” dell’efficacia antinfiammatoria e rigenerativa del siero, modulando il dolore e favorendo una più rapida ripresa funzionale. Entrambe le procedure vengono effettuate sotto guida ecografica, in condizioni di campo sterile, così da garantire precisione e sicurezza.

Può raccontarci il caso clinico specifico a cui accennava, e quali risultati avete ottenuto?

Dott. Luisi: Certamente. Il paziente è un uomo di 46 anni, sportivo non agonista specializzato nel podismo su strada (10K e 21K). Al nostro centro si è rivolto per un dolore cronico all’anca sinistra, presente da oltre sei mesi, che limitava in modo significativo il range di movimento in flessione e gli impediva di praticare attività fisica. In precedenza, le terapie farmacologiche con FANS e corticosteroidi non avevano prodotto un miglioramento del dolore superiore al 50%. La diagnosi radiografica ha evidenziato una coxartrosi bilaterale di grado moderato-severo, con deformazione della testa femorale sinistra, e la valutazione ortopedica indicava già come unica soluzione a lungo termine la protesizzazione. Dopo aver applicato il protocollo SARC + Neuromodulazione, a distanza di 30 giorni il paziente ha riferito una riduzione del dolore superiore all’85% (VAS < 2), riuscendo a riprendere con gradualità attività fisiche leggere come la camminata veloce e il ciclismo. Nei mesi successivi, il beneficio è stato mantenuto, con un ritorno ad attività fisiche moderate e senza effetti collaterali. Forte di questi risultati, a settembre 2024 il paziente ha accettato di sottoporsi allo stesso trattamento anche per l’articolazione controlaterale.

Come si posiziona il SARC rispetto ad altre terapie biologiche, come il PRP?

Dott. Luisi: La differenza principale risiede nella composizione. Il SARC è privo di componenti cellulari, mentre il PRP (Plasma Ricco di Piastrine) ne contiene in quantità significative. Questa differenza può comportare, con il PRP, reazioni infiammatorie post-infiltrazione dovute alla presenza di cellule piastriniche attive. Il SARC, al contrario, è un derivato stabile, privo di cellule, e questo aspetto ne migliora notevolmente la tollerabilità, riducendo gonfiore e irritazioni. Inoltre, sebbene l’efficacia terapeutica sia comparabile, il SARC offre un profilo di sicurezza più elevato e un recupero del paziente più agevole.

Quali prospettive apre questo approccio terapeutico nel medio-lungo periodo?

Dott. Luisi: Le prospettive sono molto incoraggianti. L’associazione tra SARC e Neuromodulazione ad alta frequenza costituisce una metodica sicura, ripetibile e ben tollerata, particolarmente adatta a pazienti con coxartrosi di grado lieve o moderato che intendano posticipare interventi invasivi. Il successo del caso presentato suggerisce inoltre la possibilità di estendere tale approccio ad altre articolazioni, come ginocchia e spalle, con l’obiettivo di preservare la funzionalità articolare e migliorare la qualità di vita del paziente. Ovviamente, serviranno ulteriori studi e report clinici per consolidare questi risultati e definire meglio protocolli, indicazioni e timing ottimali. Tuttavia, al momento, i dati preliminari indicano che l’approccio SARC + Neuromodulazione ad alta frequenza può rappresentare un valido strumento per ritardare la chirurgia, offrendo al paziente un recupero funzionale precoce e duraturo. È una concreta opportunità per la medicina rigenerativa e per una gestione più conservativa della coxartrosi.

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