Le prime esperienze della nostra vita, spesso dimenticate, potrebbero non essere perse per sempre. Un recente studio condotto presso il Trinity College di Dublino ha aperto una finestra affascinante sul mondo della memoria infantile.
Se ci chiedessero qual è il nostro primo ricordo da adulti, probabilmente non riusciremmo a risalire a uno precedente ai cinque o sei anni.
Ma cosa succede alle esperienze vissute nei primi tre o quattro anni di vita? Talvolta si riducono a sensazioni e immagini frammentate che svaniscono intorno ai sette-otto anni.
Questo fenomeno è comunemente noto come “amnesia infantile”, e le sue cause restano ancora avvolte nel mistero.
Il concetto di “amnesia infantile” fu introdotto da Freud all’inizio del XX secolo per spiegare la comune difficoltà degli adulti nel ricordare episodi autobiografici senza assistenza esterna.
Inizialmente, Freud attribuiva questo fenomeno alla rimozione nell’inconscio di ricordi o eventi traumatici del passato, soprattutto legati allo sviluppo psicosessuale dei bambini.
Secondo il neuroscienziato Tomás Ryan, l’amnesia infantile altro non è che una forma diffusa ma sottovalutata di perdita di memoria.
Lui e il suo team hanno esaminato i topi, dimostrando che l’attivazione di una risposta immunitaria materna durante la gravidanza, nota per favorire lo sviluppo dell’autismo, potrebbe prevenire la perdita dei ricordi infantili.
Questo processo influenza il funzionamento delle cellule della memoria nel cervello.
Ciò che rende ancora più affascinante la ricerca è la scoperta che, utilizzando la tecnica dell’optogenetica, è possibile riattivare i ricordi.
I ricercatori hanno “acceso” specifici neuroni geneticamente modificati con fasci di luce, riportando in vita i ricordi nei topi.
Il risultato apre la strada a nuove comprensioni sulla memoria infantile e offre prospettive interessanti sulla flessibilità cognitiva, specialmente nel contesto dell’autismo.
Ryan sottolinea che la ricerca suggerisce che l’attivazione immunitaria durante la gravidanza può influenzare i “interruttori dell’oblio” nel cervello, aprendo la porta a una migliore comprensione della memoria e dell’oblio durante lo sviluppo del bambino.