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Cambiamenti climatici fra conseguenze sulla salute e nuove sfide

La Fondazione Veronesi fa chiarezza sull’impatto dei cambiamenti climatici sulla nostra salute, sulla base del Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) dell’IPCC.

In che modo la crisi climatica sta influenzando la nostra salute? E come la influenzerà in futuro? A darcene un’idea è il Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) dell’IPCC, che costituisce la sintesi più aggiornata circa l’impatto del cambiamento climatico sull’intero pianeta e, a cascata, sulla salute degli esseri umani. Si tratta di un argomento estremamente complesso e articolato, di fondamentale importanza per la nostra stessa sopravvivenza, per il benessere delle specie animali e vegetali e per gli ecosistemi di ogni luogo della Terra.

LE CITTÀ MOTORI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

L’impatto sulla salute umana è e sarà enorme, “senza se e senza ma”, spiega la professoressa Carla Ancona, epidemiologa ambientale, Dipartimento di Epidemiologia SSR Lazio: «Secondo le stime delle Nazioni Unite entro il 2050 quasi il 70% della popolazione mondiale sarà residente in ambienti urbani. Ciò avverrà, in particolare, per la presenza di maggiori opportunità occupazionali e per l’accesso più facile a beni e servizi. Tuttavia, la popolazione residente nelle città soffrirà a causa di problematiche legate a alloggi e trasporti inadeguati, alla gestione dei rifiuti, alle isole di calore, a una qualità dell’aria non conforme alle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ulteriori conseguenze sulla salute deriveranno poi dal passaggio dagli alimenti freschi a quelli trasformati, alla mancanza di spazi verdi, alla limitata possibilità di spostamenti a piedi, in bicicletta, allo scarso esercizio fisico; tutti fattori che si combinano tra loro, rendendo le città motori del cambiamento climatico. Così tra il 2030 e il 2050, l’OMS prevede che i cambiamenti climatici causeranno circa 250.000 morti in più all’anno, a causa di malnutrizione, malaria, diarrea e stress da caldo».

LE CONSEGUENZE PER LA SALUTE

Intanto, the Lancet Countdown, una collaborazione internazionale che monitora in modo indipendente le conseguenze sulla salute connesse ai Cambiamenti Climatici, ha valutato gli effetti sanitari della crisi climatica sulla base di specifici indicatori.

«Il Global Report del Lancet Countdown 2022 – prosegue Ancona – ha messo in evidenza le molteplici conseguenze del caldo estremo:

Inoltre:

le aumentate concentrazioni atmosferiche di gas serra hanno un ruolo preminente anche nell’emergenza delle malattie infettive, aumentando l’idoneità alla trasmissione di molti agenti patogeni trasmessi dall’acqua, dall’aria, dagli alimenti e dai vettori

  • il rialzo delle temperature delle acque salmastre costiere ha aumentato la diffusione dei vibrioni colerici e non;
  • sono aumentati i mesi in cui sono più vitali le zanzare Anopheles ed è quindi più facile la trasmissione della malaria;
  • il clima mutato ha favorito anche una maggiore trasmissione di chikungunya, Zika e, soprattutto, di Dengue.

Sebbene lo sviluppo socioeconomico, gli interventi di sanità pubblica e i progressi della medicina abbiano ridotto l’onere globale della trasmissione di malattie infettive, il cambiamento climatico potrebbe minare gli sforzi di eradicazione».

LE AREE PIÙ A RISCHIO DEL PIANETA

Ci sono aree del pianeta che, ancora più di altre, sono (e saranno) a maggior rischio per l’innalzamento della temperatura. La premessa resta comunque sempre valida: a prescindere da zone specifiche, è un argomento generale e che riguarda ognuno di noi. Lo evidenzia il Fifth assessment report dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) delle Nazioni Unite che mette l’accento sul problema siccità. Nel periodo 2012-21 rispetto al periodo 1951-1960, il 29% in più di superficie terrestre globale è stata colpita da siccità estrema per almeno un mese all’anno e l’esposizione umana a giorni con pericolo di incendio molto alto è aumentata nel 61% dei paesi dal 2001-2004 al 2018-2021.

«A causa della Crisi Climatica negli ultimi due anni – precisa Ancona – eventi meteorologici estremi hanno così devastato con inondazioni Australia, Brasile, Cina, Europa occidentale, Malesia, Pakistan, Sud Africa e Sud Sudan e con incendi Canada, Stati Uniti, Grecia, Algeria, Italia, Spagna e Turchia. Tra il 2017 e il 2021, le ondate di calore con temperature record registrate in Australia, Canada, India, Italia, Oman, Turchia, Pakistan e Regno Unito, hanno prodotto (in concomitanza con l’epidemia da coronavirus) gravi conseguenze sulle frange più vulnerabili della popolazione, nelle quali i decessi sono aumentati del 68% rispetto al lustro 2000-2004. La gravità della situazione in cui versa il pianeta è tale da richiedere che le azioni da intraprendere siano guidate globalmente dal senso dell’urgenza, non è più possibile fermarsi a riflettere, occorre agire».

CHE COSA SI STA FACENDO?

«Con l’Accordo di Parigi, l’Europa si è impegnata a garantire che gli Stati membri riducano l’emissione di CO2 entro il prossimo decennio e che si arrivi alla neutralità climatica entro il 2050. In Italia, si è recentemente concluso il progetto “Climactions – Adattamento e mitigazione ai Cambiamenti Climatici: interventi urbani per la promozione della Salute”, coordinato del Dipartimento di Epidemiologia del Lazio in sei Regioni italiane (Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Lazio, Puglia e Sicilia), che ha prodotto evidenze utili agli stakeholder locali ai fini di promuovere strategie di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici nel contesto urbano con focus sulla riduzione dell’isola di calore urbana e sulla mobilità attiva, attraverso una collaborazione interdisciplinare tra epidemiologi, architetti, botanici, climatologi, esperti nella formazione».

LE POPOLAZIONI PIÙ A RISCHIO

C’è sempre qualcuno che, ancora più di altri, risente degli effetti negativi di un fenomeno e se il cambiamento in atto è così complesso e deleterio, ancora di più.

«Sempre secondo il Fifth assessment report dell’Inter Governamental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite – prosegue l’epidemiologa – la vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici è fortemente associata alla “capacità di sistemi, istituzioni, esseri umani di adattarsi a potenziali danni, per sfruttare le opportunità o per rispondere alle conseguenze”».

La capacità di adattamento, a sua volta, dipende dunque da una serie di fattori quali l’età, il genere e il livello socioeconomico, che secondo l’Ipcc, giocano un ruolo centrale, in particolare nelle aree più povere e vulnerabili ai cambiamenti climatici.

«Le persone appartenenti a gruppi di età vulnerabili – precisa Ancona – sono state esposte a 3,7 miliardi di giorni di ondata di caldo in più nel 2021 rispetto a ogni singolo anno compreso nel periodo 1986-2005. Ciò accade anche perché il cambiamento climatico sta compromettendo molti dei fattori sociali fondamentali per preservare un buono stato di salute, come mezzi di sussistenza, la promozione dell’uguaglianza e l’accesso all’assistenza sanitaria e alle strutture di sostegno sociale. I più vulnerabili e svantaggiati, tra cui donne, bambini, minoranze etniche, comunità povere, migranti, popolazioni anziane e persone con condizioni di salute pregresse, sono coloro che ne fanno ancora di più le spese».

Non è, dunque, difficile immaginare quali possano e potranno essere le condizioni di vita e salute dei più poveri tra i poveri del Pianeta.

ALLORA, CHE FARE?

Trovare strategie per far fronte a un problema di questa entità e con questa urgenza di azione richiede approcci estremamente differenziati. E se è sicuramente semplificante qualunque trattazione sintetica e frettolosa, come quella che necessariamente impone un articolo, ci sono punti nodali imprescindibili, da mettere in evidenza.

«Il cambiamento climatico si combatte principalmente attraverso le scelte energetiche – afferma Carla Ancona – limitando l’uso di combustibili fossili e promuovendo le fonti rinnovabili, tuttavia è importante realizzare modalità di intervento più ampie, secondo il principio dei co-benefici, che possono contribuire in modo importante alla mitigazione del cambiamento climatico. Le nature-based solutions sono uno degli elementi di una pianificazione urbana sostenibile, oltre che una misura di adattamento ai cambiamenti climatici. Il potenziale, quello di riduzione dell’isola di calore, associata anche ad altre ricadute positive sul benessere psicologico, sulle relazioni sociali e sull’attività fisica, soprattutto nei bambini. Le misure efficaci di contrasto ai cambiamenti climatici includono l’applicazione degli standard di qualità dell’aria, la riduzione delle emissioni industriali, la transizione verso combustibili puliti e fonti di energia rinnovabile, la riduzione del traffico nelle aree urbane, l’applicazione delle norme per l’efficienza energetica, la riduzione delle emissioni dalle automobili e un migliore accesso ai trasporti pubblici. L’ultimo Lancet Countdown report per l’Europa suggerisce che alcuni esempi importanti di co-benefici possono risultare da strategie urbane basate sul potenziamento del “trasporto attivo” a piedi e in bicicletta, per l’incremento dei livelli di attività fisica e relative ricadute positive sulla salute, e da cambiamenti verso una dieta sana e sostenibile, permettendo di ridurre i decessi attribuibili alla cattiva alimentazione, ad esempio per un eccessivo consumo di carne rossa ».

PARTIRE DALLE CITTÀ

Molto più numerosi saranno gli abitanti delle città rispetto a quelli delle campagne, questo il punto di partenza per tutelare la salute.

«Le aree urbane – afferma Ancona – sono, infatti, particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, in particolare a causa dell’atteso incremento delle ondate di calore i cui effetti sulla salute possono essere aggravati dalla presenza dell’isola di calore urbana. La ragione sta anche nell’elevata densità del costruito e nell’uso di materiali che impediscono la naturale traspirazione».

Intanto nel novembre 2022, nella conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Sharm el Sheikh, in Egitto (COP27), i leader mondiali hanno lanciato l’Agenda per l’adattamento al cambiamento climatico, per migliorare, entro il 2030, la resilienza di 4 miliardi di persone che vivono nelle comunità più vulnerabili alla crisi climatica.

«L’Agenda per l’adattamento – prosegue l’epidemiologia – costituisce proprio il primo piano globale condiviso di 30 risultati di adattamento al 2030. I temi definiti sono: acqua; cibo e agricoltura; città, insediamenti e infrastrutture chiave; salute; povertà e mezzi di sussistenza; ecosistemi terrestri; oceani ed ecosistemi costieri».

CLIMA E PREVENZIONE: UNA DIREZIONE UNICA

Questa l’occasione in cui è stato messo in evidenza anche l’enorme vantaggio economico con le ovvie conseguenze sulla salute. «La convergenza tra politiche di mitigazione del cambiamento climatico e di prevenzione delle malattie – precisa Ancona – può portare a una riduzione importante (fino al 40-50%) dell’incidenza delle malattie croniche (tumori, diabete, malattie cardiovascolari, respiratorie e neurologiche) con gli ovvi vantaggi relativi alle spese. In questa ottica, imprescindibili sono le politiche preventive realizzate al di fuori del sistema sanitario (alimentazione, trasporti, agricoltura). Il finanziamento di queste politiche attraverso gli opportuni Ministeri porterebbe a grandi risparmi nel servizio sanitario e avrebbe un impatto sulle diseguaglianze sociali. Ma queste politiche avrebbero anche una ricaduta sul cambiamento climatico, poiché gli stessi fattori di rischio che agiscono sulle malattie croniche sono agenti di cambiamenti climatici».

Insomma, una sorta di circolo virtuoso, valido in qualunque direzione.

LE SFIDE PER IL NOSTRO SSN

La cura della persona, come ben sappiamo, impatta notevolmente sul Sistema Sanitario. E se quello italiano, nonostante le numerose difficoltà e falle (mancanza di medici, personale sanitario insufficiente nel complesso, gestione regionale a macchia di leopardo, con conseguenti ritardi diagnostici e terapeutici, problemi legati alla medicina del territorio,…), resta ancora uno dei migliori al mondo (non necessita l’assicurazione come negli USA, giusto per dirne una sostanziale…); il cambiamento climatico renderà la sua gestione più difficoltosa.

«L’idea di fondo è che agendo con politiche inter-settoriali in diversi settori dell’ambiente si riesca al tempo stesso a mitigare il cambiamento climatico e a prevenire molte malattie -conclude Ancona -. Certo, l’impatto sul clima della mitigazione del cambiamento climatico è a lungo termine e a livello planetario (dunque non facilmente percepibile dalla popolazione). Quello sulla salute è, invece, a breve termine e geograficamente prossimo, quindi più facilmente percepibile dalle popolazioni coinvolte. Gli interventi per la riduzione dell’inquinamento atmosferico e il contrasto ai cambiamenti climatici sono tipicamente al di fuori dell’ambito della pratica clinica. Tuttavia il ruolo dei medici è fondamentale per l’individuazione dei soggetti altamente suscettibili agli eventi cardiaci imputabili all’inquinamento, esposti a livelli elevati di inquinamento atmosferico. Sarà sempre più importante il ruolo dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta che devono essere formati su questi temi per svolgere una importante funzione educativa nei confronti dell’intera popolazione attraverso l’interazione con i singoli pazienti».

Fonte: Fondazione Umberto Veronesi

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