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Oltre lo steccato. Perché una medicina a misura d’uomo non è più sostenibile

Prima di sentir parlare di “medicina di genere” (credo in un podcast) non avrei mai immaginato che la discriminazione tra uomo e donna potesse permeare anche un ambito scientifico e “oggettivo” come quello sanitario[1]. L’unica discriminazione inconscia che mi veniva in mente, riflettendoci su, era la consuetudine di quando ero bambina a considerare medici soltanto i dottori. Per me le dottoresse erano infermiere e le infermiere dottoresse, sempre seconde al capo maschio (in questa gerarchia del mondo non ho idea di dove infilassi gli infermieri, non pervenuti). L’equivoco linguistico infantile getta però una luce sinistra sulla visione introiettata fin da piccola dei ruoli di genere e della sottintesa superiorità in ambito lavorativo – e non solo – dell’uomo.

In realtà, la definizione più corretta del fenomeno sarebbe “Sex and gender medicine[2],  ma per comodità terminologica e per un (mio) attaccamento alla lingua di Dante e di Manzoni parleremo di medicina di genere, alludendo con questa terminologia alla disciplina e alle iniziative “che promuovono lo studio delle differenze nell’ambito dei sessi e dei generi con lo scopo di migliorare e rendere uniformi la prevenzione, la diagnosi, l’accesso alle cure e le modalità di trattamento”.

L’OMS definisce la medicina di genere come lo studio del modo in cui le differenze biologiche definite dal sesso (fattori genetici e ambientali) unitamente a quelle socioeconomiche e culturali (definite dal genere del soggetto) possano influenzare lo stato di salute di un soggetto e di gruppi di soggetti.

Nel 2019 il Ministero della Salute, con il “Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di Genere”, “si propone di fornire un indirizzo coordinato e sostenibile per la diffusione della Medicina di Genere mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie che nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura tengano conto delle differenze derivanti dal genere”.

Superare l’intralcio terminologico era una premura dato che l’80% delle persone a cui ho chiesto sui canali social cosa fosse la medicina di genere mi ha risposto di non saperlo. Lo 0% di circa 1100 utenti (per il 57% di età compresa fra i 24 e i 35 anni) si è preso la briga di fornirmi un esempio di discriminazione di genere sperimentata in prima persona in ambito medico-sanitario, neanche i pochi che avevano capito di cosa si stesse parlando.

La questione della discriminazione di genere in ambito medico non è una controversia terminologica, né una battaglia femminista viziata dall’ideologia.  Dati e studi alla mano, parliamo del fatto che la medicina, al meno fino all’altro ieri, è stata sperimentata, pensata e incentrata rispondendo unicamente alle caratteristiche anatomiche e fisiologiche dell’uomo. La donna si è dovuta adeguare, come se il suo corpo fosse una deviazione dalla norma. (Ripenso all’Allegro Chirurgo, alle illustrazioni del corpo umano – cioè, dell’uomo – sui manuali delle elementari, ai modellini tridimensionali di busti maschili del laboratorio di scienze). Fino al 1993 le donne erano escluse da tutte le sperimentazioni cliniche per confrontare sicurezza ed efficacia di due terapie.

Un ambito su cui la Medicina di genere insiste molto è quello cardiologico. Sembra che l’infarto possa manifestarsi in modo diverso fra uomini e donne. Tuttavia, dato che i sintomi maschili sono quelli diffusi come standard di riferimento, la diagnosi nelle donne può giungere tardiva e fatale. “Dagli anni Settanta al Duemila, ad esempio, la mortalità per infarto è diminuita in modo importante nell’uomo, che si è dimostrato molto reattivo alle numerose campagne di prevenzione, mentre sette donne su dieci sono convinte che l’infarto non le riguardi, sebbene dopo i 50 anni le malattie cardiovascolari siano la prima causa di morte nel gentil sesso.” (Gentil sesso non fa parte del mio idioletto, la fonte è Humanitas).

La prova del nove è stata cercare su MyPersonalTrainer.it (Wikipedia degli studenti di medicina) i sintomi dell’Infarto del Miocardio. I principali sono: “Dolore al torace, anche detto dolore al petto; Dispnea (mancanza di respiro); Vertigini; Senso di fatica; Dolore alla mandibola, al collo e/o alla schiena; Dolore diffuso alla spalla e al braccio; Malessere”. Sullo stesso sito ho trovato come contenuto correlato: “Sintomi dell’Infarto nelle Donne: Quali sono?”, in cui alcune manifestazioni sintomatologiche corrispondevano alla norma maschile, altre no (come il “dolore alla schiena”).

Credo, però, che il discorso non possa dirsi esaurito se ci limitiamo a tenere conto delle differenze fisiologiche (ormoni, organi sessuali, ecc.) fra uomo e donna: fanno la loro buona parte condizionamenti culturali e modi di pensare duri a morire.

Quante volte le ragazze si sentono dire che il dolore mestruale è normale? Per quante donne il parto è un’esperienza ingiustificatamente atroce perché è stato Dio a ordinarci come conseguenza di un Peccato Originale causato da una donna (sic!) di partorire con dolore? Così le donne sottovalutano i sintomi, sopportano il dolore. Quando non lo fanno potrebbe essere lo specialista stesso a liquidarle. Ho letto sul canale Instagram della dottoressa Violeta Benini di una donna con vaginismo a cui il ginecologu aveva consigliato di farsi un drink prima di un rapporto sessuale, per rilassarsi. Finché la sintomatologia non sarà presa sul serio dal mondo medico-scientifico, difficilmente le donne accederanno a cure adeguate.

Su Google Chrome il 20 maggio 2023, relativamente alla ricerca “Eiaculazione precoce cause”, sono apparsi ben 270000 risultati. In risposta alla ricerca di pochi secondi dopo “Vaginismo cause”, soltanto 90900. I numeri, però, si ribaltano se prendiamo in considerazione il tema della contraccezione: “Contraccezione maschile”: 151000 risultati. E invece la ricerca “Metodi contraccettivi femminili” mi ha fornito ben 196000 risultati. Perché investire sulla ricerca in ambito di contraccezione maschile se si può lasciare alla donna l’onere della contraccezione ormonale, con tutti gli eventuali effetti collaterali che questa comporta? Sento che questo discorso potrebbe portarmi lontano, ben oltre lo steccato. Mi autocensuro.

Benedetta Ala

[1] S. Grego, E. Pasotti, T. Moccetti, A. P. Maggioni, “Sex and gender medicine”: il principio della medicina di genere, “G ITAL CARDIOL”, VOL 21, 2020; 21.
[2] Chiedo scusa ai lettori per il lessico binario adottato: è una semplificazione terminologica che spero mi perdoneranno.

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