Prevenzione tumore al colon, Azione: “Approvata nostra proposta di legge per ricerca su individuazione tumore con esame sangue. Ora in aula”

È stata approvata lo scorso 12 giugno in Commissione la proposta di legge di Azione relativa alla prevenzione del tumore al colon.

“Dobbiamo prevenire con tutto ciò che possiamo gli effetti mortali di un grande killer: il tumore al colon. E per farlo è opportuno sperimentare l’efficacia di un test di privo livello più immediato e specifico, come quello attraverso un prelievo di sangue, superando quello più complicato e a-specifico del sangue occulto nelle feci, nella speranza di poterlo combinare nella pratica clinica ad altro test attraverso l’esame del respiro, sempre finanziato dalla regione e in attesa di essere testato. È questo il senso della nostra proposta di legge approvata oggi in Commissione e che speriamo possa essere al più presto approvata dal Consiglio.” Lo dichiarano in una nota il consigliere e commissario regionale di Azione Fabiano Amati, i consiglieri regionali Sergio Clemente, Ruggiero Mennea, capogruppo, e il responsabile regionale sanità Alessandro Nestola.

“Ringraziamo il presidente della Commissione sanità Mauro Vizzino, per aver sottoscritto la nostra proposta di legge. La nostra gratitudine per il prezioso suggerimento va, inoltre, ad Alessandro Azzarone e Marcello Chieppa, rispettivamente direttore dell’endoscopia digestiva del Di Venere e docente di Patologia generale all’Università del Salento.
“La proposta di legge, detto in parole semplici, serve a sperimentare la possibilità di poter diagnosticare il tumore al colon-retto attraverso un semplice prelievo di sangue, così da individuare e validare un pannello di biomarcatori associati alla presenza di lesioni pre-cancerose o cancerose nel colon – continuano.

“Il progetto di ricerca, quindi, potrebbe rilevarsi idoneo a determinare, ove concluso con successo e secondo tutte le regole della sperimentazione, anche la sostituzione del test di primo livello sul sangue occulto nelle feci (SOF), così da assicurare una maggiore precisione nell’eleggibilità al più complesso approfondimento diagnostico a mezzo di colonscopia. Il test SOF, infatti, ha caratteristiche aspecifiche, ben potendo registrare un esito positivo causato da motivazioni benigne e quindi diverse dalle lesioni cancerose. Nel dettaglio. Il progetto di ricerca, chiamato “Colon al sicuro” propone la valutazione del profilo metabolomico e lipidomico ottenuto dal siero dei pazienti risultati positivi al test SOF ed eleggibili per lo screening endoscopico, nonché la valutazione dei fattori di stili di vita che possono determinare un aumentato rischio di sviluppare neoplasia colorettale”. Proseguono il commissario regionale, i consiglieri regionali e il responsabile regionale sanità.

“Prima dell’esame, personale specializzato registrerà peso, altezza, circonferenza e forza del muscolo dell’avambraccio; verranno in seguito somministrati alcuni questionari validati per valutare lo stile di vita del paziente per quanto riguarda le abitudini alimentari, il livello di attività fisica e l’abitudine al fumo.
“Durante la preparazione del paziente per l’esame endoscopico, un campione di siero pari a 2 ml verrà prelevato e conservato a -20°C in una biobanca dedicata. Gruppi di circa 200 campioni alla volta verranno spediti presso i laboratori specializzati per essere analizzati con analisi multi-omiche (metabolomica e lipidomica). I risultati delle analisi omiche verranno analizzati in forma semi-anonima (codice alfanumerico) e confrontati con i risultati oggettivi ottenuti dall’analisi endoscopica per individuare eventuali correlazioni tra i profili omici e fattori di stile di vita dei pazienti con la presenza di lesioni pre-cancerose. L’obiettivo principale del progetto proposto è individuare e validare un pannello di biomarcatori associati alla presenza di lesioni pre-cancerose o cancerose nel colon. Il successo permetterebbe di individuare precocemente i soggetti a rischio ed intervenire tempestivamente prima che le lesioni rappresentino un rischio per la vita dei pazienti”. Sottolineano Amati, Clemente, Mennea e Nestola.

“In Italia i tumori del colon retto sono un rilevante problema sanitario e si collocano al terzo posto per incidenza tra gli uomini, al secondo tra le donne. In entrambi i sessi, l’incidenza è aumentata tra la metà degli anni Ottanta e gli anni Novanta, seguita da una lieve riduzione della mortalità. Riguardo alla distribuzione, l’Italia è in linea con la media europea: 49% per gli uomini e 51% per le donne. Lo screening dei carcinomi colorettali (CCR) mira a identificare precocemente le forme tumorali invasive, ma anche a individuare e rimuovere possibili precursori. Le modalità esecutive dello screening del CCR in Puglia prevede l’invio di un invito a recarsi alla farmacia territoriale di riferimento territoriale per ritirare il kit per l’esecuzione della ricerca del SOF e quindi riconsegnare alla stessa farmacia la provetta adeguatamente utilizzata. Il soggetto SOF è successivamente contattato telefonicamente ed invitato ad eseguire, se idoneo, la colonscopia come esame di approfondimento di II livello con l’obiettivo di evidenziare l’eventuale presenza di polipi o lesioni tumorali nell’intestino e rendere possibile la prevenzione e/o una più efficace e tempestiva la cura – continuano.

“L’obbiettivo della ricerca proposta è individuare uno o più biomarcatori che si correlino con la presenza di formazioni precancerose o con la diagnosi di lesioni neoplastiche avanzate. Una tale auspicabile riscontro permetterebbe di avere a disposizioni indagini non invasive con una alta sensibilità e specificità e quindi in grado di meglio selezionare il target della popolazione da sottoporre a colonscopia. Ciò contribuirebbe ad ottenere una maggiore appropriatezza prescrittiva endoscopica non solo nei programmi di screening, ma anche nelle prescrizioni ambulatoriali con conseguente abbattimento delle liste d’attesa ed indubbio vantaggio anche economico. Inoltre, il progetto prevede la valutazione di numerosi parametri legati allo stile di vita (abitudini alimentari, livello di attività fisica, abitudine al fumo), in modo da evidenziare eventuali fattori di rischio e/o fattori confondenti che possono determinare poi falsi positivi/negativi nelle analisi lipidomiche e metabolomiche. La durata prevista del progetto è di 2 anni, con un costo complessivo di 396mila euro, arruolando una coorte di pazienti di circa 2000 unità e comunque non meno di 1600, per ottenere una giusta significatività dei risultati – concludono Amati, Clemente, Mennea e Nestola.

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