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Conservare il Dna alla nascita permette di proteggerci dalle malattie dovute ai danni ambientali

Stress, inquinamento e alimentazione sbagliata hanno un forte impatto sul nostro organismo e possono addirittura modificare il nostro DNA. Queste modifiche influenzano il comportamento dei geni determinando il sorgere di malattie cardiache e respiratorie. Uno studio condotto in Canada rivela che la conservazione del DNA alla nascita permette di tutelare questo enorme patrimonio biologico.

Nel corso della vita gli agenti esterni come stress, inquinamento, alimentazione sbagliata hanno un impatto sul nostro organismo andando addirittura a modificare il nostro DNA. Queste modifiche al DNA dovute dalle sostanze inquinanti influenzano l’accensione o lo spegnimento di alcuni geni piuttosto che altri, spianando la strada a malattie cardiache e respiratorie.

Secondo una ricerca condotta in Canada dal gruppo dell’ Ontario Institute for Cancer Research guidato da Philip Awadalla e pubblicata sull’autorevolissima rivista scientifica Nature Communications (https://doi.org/10.1038/s41467-018-03202-2), un modo per tutelarci da questi cambiamenti con importanti conseguenze sulla nostra salute è rappresentato dalla conservazione del DNA alla nascita che permette di tutelare questo enorme patrimonio biologico.

Il DNA fetale si presenta PURO nella sua struttura originaria e senza tutte le modifiche che nel tempo si accumuleranno su di esso. Il DNA PURO rappresenta un punto di partenza importante per analisi genetiche comparative utili a comprendere i cambiamenti che ha subito il nostro DNA durante la vita.

Avere un campione di DNA prelevato alla nascita o entro i primi sei mesi, attraverso un campione salivare, permette di analizzare i mutamenti, scoprire la storia genetica e poter dunque agire in modo mirato in caso di necessità.

Cos’è l’analisi comparativa del Dna?

In caso di malattie, avere a disposizione il DNA puro permette un’analisi e una comparazione con lo stato attuale del DNA indentificando nel dettaglio dove ci sono stati dei mutamenti per poter agire di conseguenza in modo mirato con un piano terapeutico adatto.

Il DNA trova inoltre impiego anche in quella che viene definita “medicina di precisione” utilizzando le informazioni sul corredo genetico di una persona per formulare terapie paziente-dipendenti. In un prossimo futuro, i medici saranno in grado di utilizzare regolarmente le informazioni sulla composizione genetica per scegliere i farmaci e le relative dosi personalizzate a seconda del paziente ottenendo dunque maggiori risultati terapeutici.

Uno dei casi più comuni riguarda la resistenza agli antibiotici che secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, potrebbe causare la morte di 10 milioni di persone all’anno entro il 2050 rendendolo così un vero problema urgente che richiede un intervento globale.

 “Le indagini per l’individuazione del farmaco adatto vengono effettuate ad esempio su persone infette dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV). – spiega la Dott.ssa Stefania Fumarola, biologa e responsabile scientifica di In Scientia Fides – Prima di prescrivere il farmaco antivirale abacavir (Ziagen), i medici testano regolarmente i pazienti con infezione da HIV per una variante genetica che li rende più propensi ad avere una reazione negativa al farmaco. Un altro esempio è il farmaco per il cancro al seno trastuzumab (Herceptin) o anche per la leucemia linfoblastica acuta, in questi casi la Food and Drug Administration (FDA) statunitense raccomanda test genetici prima di somministrare il farmaco chemioterapico mercaptopurina (Purinethol)”.

La FDA consiglia, inoltre, ai medici di testare i pazienti affetti da cancro del colon per alcune varianti genetiche prima di somministrare irinotecan (Camptosar), che fa parte di un regime chemioterapico combinato.

“Gli studi hanno scoperto – aggiunge la biologa – che i farmaci chemioterapici, gefitinib (Iressa) ed erlotinib (Tarceva), funzionano molto meglio nei pazienti con cancro ai polmoni i cui tumori hanno un certo cambiamento genetico. Recentemente, inoltre, i ricercatori hanno identificato variazioni genetiche che influenzano la risposta delle persone depresse al citalopram (Celexa), una classe ampiamente utilizzata di farmaci antidepressivi chiamati inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). Poter analizzare il DNA e identificare la mutazione permette notevoli sviluppi nella medicina di precisione e enormi miglioramenti nella cura dei pazienti attraverso piani terapeutici adatti ad ogni individuo”. Conclude la Dott.ssa Fumarola, biologa e responsabile scientifica di In Scientia Fides.

Fino a poco tempo fa, gli sviluppatori di farmaci utilizzavano un approccio che prevedeva lo screening di sostanze chimiche con un’ampia azione contro una malattia. I ricercatori stanno ora utilizzando le informazioni genomiche per trovare o progettare farmaci mirati a sottogruppi di pazienti con profili genetici specifici. L’obiettivo è quello di produrre nuovi farmaci che siano altamente efficaci e non causino gravi effetti collaterali.

 

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