Come si giudica il buonismo ad ogni costo? Dietro una maschera di estrema condiscendenza si nasconde spesso uno strato di identità “di vetro” e cioè fragile. E come una cipolla si trova dell’altro, bassa autostima, dipendenza, la cosiddetta condotta evitante, in cui la strategia di evitamento è utilizzata per evitare il contrasto con gli altri. L’altro in tal caso è considerato un importante validatore della propria identità e ciò lo trasforma in un giudice pericolosissimo da cui prendere le distanze e fuggire. Pertanto si ripiega in extremis su una sorta di buonismo nei confronti di chi ci giudica.
Che cosa si legge dunque tra le righe di un comportamento polarizzato in una modalità acquiescentemente generosa? Diventa ineluttabile non ricusare la critica, il giudizio, il rifiuto per garantire accettazione, stima e affetto. E sì, perché ciascuno l’amore, l’affezione li ricerca ognuno a proprio modo. E l’esigenza di essere “riconosciuta” in modo adeguato e amata, “identificata” porta la persona smodatamente altruista a desiderare e porre in essere rapporti all’insegna di una dipendenza morbosa con quanti riempie della propria disponibilità.
L’epilogo è deleterio per chi è portatore “sano” di interesse da devolvere appieno al prossimo per chi registra questi smisurati slanci. L’altruismo patologico diviene di conseguenza una sorta di linguaggio da condividere in un crescendo tale da determinare un tipo di prostituzione relazionale che conduce ad un impoverimento della vera genuinità, alterando i codici naturali di espressione. Ai ripari si corre studiando accuratamente il proprio stile personale di approccio autentico che esiste, riflettendoci sopra. E ciò per evitare di rimanere impigliati nel tremendo, puntuale, ineludibile dilemma : altruismo o ego-ismo?